POESIE INEDITE

Fabrizio Sani nato in provincia di Arezzo e residente a Roma da sei anni. Laureato in Arti e scienze dello spettacolo alla Sapienza e sta conseguendo la magistrale in Editoria e scrittura nello stesso ateneo. Per le edizioni SuiGeneris ha pubblicato il suo primo libro dal titolo "Si innamoravano tutti di me e io del loro amore". I suoi testi saranno inclusi nell'antologia InVerse 2020 (John Cabot University). Recentemente è risultato tra i vincitori del premio Ossi di Seppia e del premio Alda Merini.
Mettiamo un mattino come un altro
Mettiamo un mattino come un altro,
fischiettando tra i marciapiedi della tua città
– fosse fine primavera –
tra gli smilzi fili d'aria
che la mia bocca lascerebbe cadere
abbandonassi anche qualche lacrima,
tu cosa raccogliesti?
Mettiamo in un mattino come un altro
volessimo incontrarci in un bar per il caffè
– fosse fine primavera –
e io mi fossi un po’ attardato.
Una volta terminato il caffè,
mi chiederesti, con aria immatura,
di restituire quel tempo insieme che ti ho sottratto?
Mettiamo, dicevo, un mattino come un altro,
chiudessi i tuoi occhi e con le mani le tue orecchie su di me
– fosse fine primavera –
evaporassi assieme a tutto il mondo.
Supporresti che la vita procede ancora,
che oltre la tua morte nient'altro morirebbe?
Sapresti, con certezza celeste, di avermi davanti?
Vorrei sapere: un mattino come un altro,
ravvisando la luce sensuale del sole
– fosse fine primavera –
cominceresti a pensare al caldo che si attenua
in un mattino di fine estate
e alla vigna dove potremmo spogliarci e baciarci,
tra l'uva matura?
In conclusione, mi piacerebbe capire
semplicemente se posso chiamarti amore.
***
Una piccola storia
È come una giornata di vento, fissare una foglia ondeggiare
e intimarle di fermarsi quando il soffio è ancora forte.
Questo stai chiedendo a me.
È come un padre, un buon padre, con il figlio che vive lontano
e un'estate intera in cui non si volta a guardare le stelle.
Questo stai chiedendo alla fede.
È come scrivere tanto e poi dimenticarsi una parola semplice
e poi del legno, in un terreno che ricordo, da far avvampare.
Questo stai chiedendo a una piccola storia.
***
Poesia senza amore
Che un riflesso di luci dietro a una porta
non mi faccia immaginare nessuno,
forse non è un dramma.
Che una terrazza umida e buia
compensi una perdita, senza narrazioni,
forse è più giusto.
Che un autobus si arresti sotto casa
e io non mi affacci a guardare fuori,
forse è risparmio di tempo.
Che rinchiudere gli errori nella propria immagine
germini scelte lucide e sensate,
forse è un’istruzione per la maturità.
Che io giaccia nell’assenza di pensiero associativo,
sia sempre e mai nel perché sono qui?,
forse rende il lavoro più proficuo.
Che io non veda più in ogni bacio il suo asciugarsi,
più in generale, in ogni oggetto un oggetto smarrito,
forse è libertà.
Che non ci sia il grande freddo o il grande caldo,
non si debba buttare i vestiti o cercarne altri,
forse garantisce equilibrio.
Che inizi a chiedermi chi io sia,
non più il cielo nero, tanto quanto lui era me,
forse è salutare.
Che non si possa salire a cavalcioni su uno sguardo,
tessere baracche nelle quali abitare,
avanzare di fianco all’irrealtà,
essere ingenua gallina e predare la scaltra volpe,
pianificare eventuali viaggi all’indietro,
sollecitare le nuvole a raggiungere la montagna
e rimandare alla sera ogni atto di dolore,
forse rende la vita tollerabile.
Che io non sia felice, certo neanche triste,
e scriva lagnose poesie senza amore
forse, forse, forse, non è un dramma.
***
Uomini-sabbia
Siamo uomini-sabbia,
equivalenti, ammassati, sottili, trascurabili;
in balia della pietra e dell’aria,
del tuttavia che ridimensiona la fantasia.
Per questo motivo Pierpaolo ha rotto il bicchiere,
stamattina. Quello che avevi rubato per me.
E non mi sei mancata.
Si è liberato dei frammenti,
mi ha chiesto scusa
e non mi sei mancata.
Nel pomeriggio Lorenzo ha buttato la spazzatura:
adesso non c’è più nessun bicchiere
rubato per me, sopra il lavandino.
E non mi sei mancata.
Briciole di vetro – probabilmente – sono annegate
in fondo al tubo di scarico.
Resti di cibo e tanta acqua per pulire ogni ricordo
– persino il tuo– gli saranno di compagnia.
Proprio perché non mi manchi
ho passeggiato serenamente sul luogo del decesso,
mentre dalla finestra entravano i rintocchi di una campana
Anita dipingeva e sulle sue guance e sulla sua tela
gocce marroni rotolavano giù.
Non mi sei mancata, no;
siamo uomini-sabbia e i nostri sogni
non sono che ombre irrilevanti.
Se mi fossi mancata sarebbe andata diversamente:
ogni cosa si sarebbe seccata al mio sguardo,
il marmo del tavolo si sarebbe crettato
e la pelle del conduttore in televisione sarebbe sgualcita e ingrigita,
scoraggiandomi a cercare uno specchio
per fissare le mie lunghe ciglia appassire
e precipitare laggiù in fondo, assieme alla polvere di vetro,
quasi sabbia, ma non mi manca.
Se non fossimo uomini-sabbia
Mi ameresti di nuovo,
e succederebbe presto,
sarebbe semplice per chi ha dei sentimenti,
e se proprio tu fossi l’unica ad averli
vorrai vedermi di nuovo e non potrai,
e questo sarà il perché: siamo uomini-sabbia.
E tu ci crederai, non avrai alternativa.
È così che deve andare, cadranno le tenebre,
l’acqua che ci inghiottirà – attraversandoci –
diventerà sempre più scura
impedendoci di vedere attraverso,
non proveremo nostalgia.